giovedì 15 giugno 2023



Il Negozio dei sogni



1.

Il negozio era delizioso, lo si notava anche dall’esterno.

La sua insegna diceva: “Sogni”.
Non era facile imbattersi, poiché per arrivarci era necessario che almeno la prima volta qualcuno ne indicasse la direzione, tanto era difficile trovarlo.
Si trovava nella zona esterna della città, quella che generalmente viene trascurata dai residenti che preferiscono invece bazzicare il centro, dove le attività urbane sono più vivaci e si incontra più gente.
Da anni lo gestiva lo stesso proprietario, un nonnino dal naso paonazzo e le guance rubiconde, testimone silenzioso di un tempo che lentamente andava sparendo.
A chi lo conosceva sembrava che la sua immagine, così bonaria e semplice, non si fosse affatto scalfita con il passare degli anni; indossava sempre una sciarpa intorno al collo, un berretto da camera (come si usava una volta), un gilet di lana e alle mani dei guanti senza dita, in modo da poter afferrare meglio gli oggetti.
Sul naso invece portava due piccole lenti appena posate sulla punta, che gli permettevano di osservare quei particolari che altrimenti i suoi occhi non sarebbero più stati in grado di vedere.
Da quanto tempo aveva aperto quel negozio? Nessuno lo poteva sapere.
Sembrava fosse lì da sempre, parte integrante di uno di quei sogni che diceva di vendere.
Ricordo la prima volta che lo incontrai. Avrò avuto si e no 12 anni, la scuola era da poco finita ed ero andato a passare un po’ di tempo insieme al mio amico Carletto. Mentre stavo tornando a casa, lungo la strada, chissà perché i miei occhi si posarono su quella strana iscrizione che campeggiava in alto sulla facciata del negozio; era come se all’improvviso il mondo circostante si concentrasse su quella singolare insegna che, seppur priva di luci, riusciva ad attirare la mia attenzione.
Determinato a scoprire di più su quella scritta enigmatica, pensai che dopotutto avevo ancora un po’ di tempo a disposizione prima di andare a casa, e così entrai nel negozio.
Un gattone grigio occupava con la sua presenza lo spazio vicino alla cassa, tenendo gli occhi socchiusi per adattarli alla luce, forse per controllare che qualche topolino non si intrufolasse tra gli scaffali. Con la sua pelliccia grigia e morbida, sembrava parte integrante del negozio fino a quando non agitava la coda al ritmo di chissà quale melodia invisibile. Era tutto così curioso.Un tintinnio di campanellini annunciò la mia presenza. Appena entrato, con stupore mi accorsi che al suo interno permeava un'atmosfera avvolta da un velo di dolce nostalgia in cui il trascorrere dei minuti e delle ore sembrava non avere alcun effetto: un bancone di legno scuro dominava la scena, insieme a scaffali altrettanto scuri sui quali erano esposti numerosi recipienti di vetro, che portavano l'evidente segno del tempo e della polvere accumulata nel corso degli anni. La luce non era molta poiché dalle vetrine filtrava quel giusto chiarore che consentiva di esaminare l’interno senza perdersi troppo nei particolari, mentre nell’aria aleggiava un odore gradevole, vanigliato, delicato e mai persistente. 
Mi avvicinai ad alcuni vasi per osservarli meglio e forse riuscire a vedere cosa ci fosse al loro interno, ma tanta era la polvere che non riuscivo a scorgerne il contenuto.
Ero troppo preso dall’interesse per quei barattoli che non mi resi conto dell’arrivo del proprietario.
“Ti starai domandando cosa ci sia lì dentro, vero?” Domandò.
Preso alla sprovvista non riuscii a rispondere ma annuii leggermente con il capo.
“Dovresti saperlo, perché magari in qualcuno di quei vasi c’è qualcosa di tuo”.
Quelle parole ebbero l’effetto di aumentare ancor di più la mia curiosità.
Vedendomi così smarrito, decise che era giunto il momento di sciogliere il dilemma.
“Eppure avresti dovuto notare l’insegna. Sogni, qui vendiamo sogni…”
Accidenti, pensai, che occasione. Finalmente avrei potuto realizzarne qualcuno che da tempo mi frullava in testa. Iniziai a pensare quale avrei voluto che si avverasse, ma ero talmente eccitato che invece non me ne venne in mente nessuno.
Il nonnino capì e con discrezione si allontanò.
“Ti lascio pensare, hai a disposizione tutto il tempo che vuoi. I sogni sai non hanno scadenza e quando ti deciderai staranno lì ad aspettarti”.
Riflettei sulle parole e pensai che quel vecchio doveva essere proprio un bel tipo.
Passai il resto del tempo curiosando tra gli scaffali, sicuro che prima o poi un’idea mi sarebbe giunta.
Girai ancora per un po’ all’interno del negozio cercando di trovare un’ispirazione, ma non ci fu niente da fare. Nessun sogno veniva fuori a stimolare il mio interesse.
Nel frattempo si stava facendo tardi e a casa mi stavano aspettando. Salutai il proprietario con la promessa che prima o poi sarei ritornato.

 

2.

Passò qualche anno. Oramai ero diventato un adolescente e in tutto quel tempo passato, ogni tanto mi veniva in mente il negozio e le parole che mi disse il proprietario. Adesso avevo una bicicletta e un pomeriggio di primavera, quando la scuola stava per terminare, decisi di tornarci.
Lo trovai immediatamente, identico a come l’avevo lasciato.
Anche l’interno era rimasto allo stesso modo.
Appena entrato il nonnino mi riconobbe immediatamente:
“Oh, guarda chi si rivede….”
Come faceva a ricordarsi di me pensai, dopotutto mi aveva visto soltanto una volta e poi diversi anni fa.
“Allora ti è venuto in mente quale sogno ti piacerebbe avverare?”
“Veramente ancora no” risposi.
“Stai tranquillo, te l’ho già detto: hai tutto il tempo che vuoi”.
A sentire quelle parole, non so perché mi tornò il disagio di quel giorno, quando non me ne venne in mente nessuno.
 “Ma perché è così difficile sceglierne uno?” Gli domandai.
Si avvicinò con un sorriso dolcissimo, dello stesso sapore della vaniglia che si respirava ancora nell’aria…
Mi rispose: “Figliolo mio, i sogni sono strani. Rappresentano ciò che noi non riusciamo a vedere. Sono eterei, fugaci ma anche amari e a volte irraggiungibili; sono come un viaggio che puoi iniziare in ogni istante per poi cambiare la destinazione in qualsiasi momento.
Ti voglio dare un consiglio: non provare mai ad acchiapparne uno. Potrebbe essere così scivoloso da sfuggirti di mano lasciandoti l’amaro in bocca. Lascia che sia lui a scegliere te”.
“Ma… come faccio a sapere che è lui il mio sogno?”
“Quando entri nel mio negozio vedrai sempre tanti barattoli sugli scaffali. Alcuni grandi, altri piccini. Alcuni sono in alto, irraggiungibili e altri invece più a portata di mano. Il tuo sogno starà lì ad aspettarti e quando ti avvicinerai lo riconoscerai immediatamente senza bisogno di alcun consiglio. Però… sappi che ognuno ha il suo prezzo da pagare”.
Quest’ultima frase mi lasciò sbalordito.
Sapevo che i sogni aiutano nella vita, ma perché pagarli se sono una cosa fondamentale e che in fin dei conti fanno star bene.
 “Come? C’è anche un prezzo da pagare? Hai detto che sono eterei, com’è possibile pagare un qualcosa che è… impalpabile”.
“Non è sufficiente desiderare un sogno per ottenerlo: bisogna anche meritarselo. Se non ci fosse un prezzo, anche simbolico, ognuno avrebbe tutti i sogni che vuole…  e forse anche di più. E allora non ci sarebbe più gusto. Troppi sogni possono far male, la misura dev’essere quella giusta. Devono essere fonte d’ispirazione ma anche un salutare legame con la realtà”.
“E quale sarebbe il giusto prezzo?”
A questa domanda allargò le braccia.
“Non chiedermelo. Non esiste un tariffario. Potrebbe sembrarti troppo, così come potrebbe sembrarti poco: il prezzo di ogni sogno dipende solo dal valore che gli dai”.
Non fece in tempo a finire di parlare che scomparve nuovamente dietro al bancone.
Riflettei sulle sue parole che in ogni caso mi incoraggiarono un po’.
“Non c’è che dire”, pensai “quel vecchio è un ottimo venditore”.
Iniziai a girare per il negozio nella speranza di capire quale sogno prima o poi avrebbe attirato la mia curiosità. Come mi aveva detto, alcuni sogni erano rinchiusi dentro barattoli enormi, altri in quelli più piccoli ma in tutti era impossibile scrutarne il contenuto.
In ogni caso nessuno attirava la mia attenzione.
Notai che il gattone grigio stava ancora là, sul bancone della cassa continuando a sventolare l’aria con la coda; forse sentendo il bisogno di stiracchiarsi un po’ si alzò e arcuò la schiena stendendo le zampine anteriori. Il suo spostamento permise a un filo di luce di attraversare la patina della vetrina e di andare a colpire un angolo dove una serie di barattoli si sottraeva alla vista. A dire il vero li avrei potuti vedere anche prima, ma forse non mi ero accorto di loro preso com’ero dalle parole del proprietario e soprattutto dai miei pensieri.
Mi accorsi di un barattolo più defilato degli altri, che colpito dal raggio di luce parve risplendere di uno strano bagliore o almeno così sembrò. Era chiuso con un drappo di stoffa sfilacciata e tenuto stretto al bordo con uno spago, come si faceva una volta.
Spostai i barattoli che lo coprivano per poterlo osservare meglio.
Era particolarmente singolare: la poca luce che filtrava dalla vetrina creava al suo interno un chiarore misterioso che, a seconda di come lo tenessi tra le mani, cambiava continuamente sfumatura, rivelando arcobaleni dai colori straordinari.
Sentii un brivido di eccitazione attraversarmi il corpo.
Ecco, finalmente avevo trovato il mio sogno.
Lo capovolsi più volte ma non riuscii a trovare il prezzo.
Corsi dal vecchio a chiedere quanto costasse.
Appena lo vide non rimase sorpreso, anzi sembrava sapesse che quel barattolo non stava aspettando altro che lo trovassi. Lo girò e lo rigirò, poi si voltò verso il gatto come se aspettasse da lui qualche risposta.
Sembrava in imbarazzo quando mi disse il prezzo: ”Un soldo”.
Cercai nelle mie tasche… avevo solo 99 centesimi.
Non potevo credere: proprio adesso che avevo trovato il mio sogno.
Così vicino eppure così irraggiungibile.
E tutto per colpa di un centesimo…
Chiesi al nonnino di avere pazienza e di tenerlo da parte perché sarei tornato quanto prima con tutta la somma, sicuro di riuscire a trovare in qualche modo la monetina che mi mancava.
Lui non batté ciglio, prese il barattolo e con lentezza lo andò a posare sul bancone vicino alla cassa, proprio dove al gattone grigio piaceva riposare.
Uscii senza sapere dove andare e come fare per recuperare quella moneta.
Il sole stava per calare e dovevo sbrigarmi. Pensai di andare verso la latteria dove venendo avevo incontrato il mio amico Carletto, che forse avrebbe in qualche modo potuto aiutarmi. Inforcai la bicicletta e andai da lui. I negozi stavano per chiudere e le strade erano affollate. Correvo evitando con cura le persone che camminavano intorno a me. Stavo quasi per arrivare quando un luccichio colpì i miei occhi: a qualche signora mentre faceva la spesa era caduta per terra una monetina, non curandosi poi di raccoglierla. Quel colpo di fortuna mi stava permettendo di racimolare l’intera somma. Mi affrettai a prenderla e immediatamente tornai al negozio.
Entrai che ero trafelato per la corsa ma anche per la felicità di riuscire finalmente ad avere il mio sogno.
Il vecchio mi stava aspettando vicino alla porta. Mi accolse con un sorriso e insieme andammo a prendere il barattolo.
Avevo appena finito di contare le monete quando proprio in quel momento il gattone, nella penombra degli scaffali, intravide un topolino entrato chissà come e di sicuro alla ricerca di qualcosa da rosicchiare. Senza pensarci, d’istinto balzò giù dal bancone verso la preda oramai in trappola. Mentre saltava, inaspettatamente andò a urtare con la coda il barattolo con dentro il mio sogno, facendolo rotolare a terra e mandandolo in frantumi.
Rimasi sconcertato, non sapevo né cosa dire e né cosa fare. Era il mio sogno ed era lì, ai miei piedi, oramai in mille pezzi.
Sconsolato guardavo quei vetri che ancora mandavano riflessi come un arcobaleno spezzato. Con il barattolo si ruppe anche il mio cuore, lasciandomi con un profondo dolore.
“Beh ragazzo, mi dispiace” disse il nonnino, “ti darò indietro i tuoi soldi. Se vuoi te ne posso dare un altro, allo stesso prezzo”.
Non sapevo cosa farmene di un altro barattolo e tantomeno dei soldi. Io volevo quello perché sapevo che lì dentro c’era il mio sogno; un altro non sarebbe stata la stessa cosa.
Sconfortato presi la bicicletta e me ne tornai a casa. Era ora di cena e a breve sarebbe stato buio.
 
3.
Passarono gli anni, divenni adulto e per lavoro dovetti trasferirmi in un’altra città. Raramente riuscivo a tornare nei luoghi dove ero cresciuto e dove avevo lasciato i miei affetti, anche se continuavano a rimanere sempre nei miei pensieri. Un giorno, finalmente, arrivò l'opportunità di poterci tornare per un paio di giorni e non mi lasciai sfuggire l'occasione. Avevo voglia di rivedere la mia famiglia, i vecchi amici e tutti quei luoghi dove avevo passato giorni lieti. Così dopo gli abbracci affettuosi e i sorrisi felici dei familiari, decisi di spendere un pomeriggio girando per le strade della città, che nel frattempo si era ingrandita.

La parte che un tempo era periferia adesso era stata inglobata nel centro abitato. Devo ammettere che facevo una certa fatica a riconoscere quei posti che avevano segnato la mia infanzia e la mia giovinezza, quando all’improvviso mi ritrovai innanzi a uno scorcio che mi sembrò familiare: non potevo crederci, era il negozio del vecchio!

Ovviamente lui non c’era più e anche il negozio aveva cambiato l’uso, in una veste completamente rimodernata.

Adesso vendeva biciclette: da corsa, da passeggio, persino quelle per le scarpinate più faticose sui sentieri di montagna.

Non potei fare a meno di entrare e con sorpresa scoprii che adesso era del mio amico Carletto. La commozione fu tanta nel rincontrarci. Eravamo adulti ma nel nostro cuore batteva ancora l’emozione di una volta.

Entrando nel negozio mi tornò in mente l’episodio di quel giorno, del sogno che per un attimo era stato mio e che per poco non ho visto realizzare.

Chiesi a Carletto che fine avesse fatto il vecchio proprietario. Mi rispose che era da molto tempo che non si vedeva più in giro.

Sapeva solo che dopo avergli ceduto il negozio aveva preso il suo gatto ed era andato via, chissà dove.

Si stava facendo tardi, così salutai Carletto con un abbraccio.

Mentre andavo via, Carletto mi richiamò; si era ricordato che il vecchio proprietario, sapendo che mi conosceva, andando via gli aveva lasciato una lettera per me nel caso, prima o poi, mi avesse rivisto.

Mi voltai con una sorpresa evidente stampata sul volto e presi la busta che mi stava porgendo. Non avevo idea di cosa potesse contenere quella lettera ed ero curioso di scoprirlo.

"È stata proprio una coincidenza fortunata che ti sia ricordato di questa lettera", dissi a Carletto con gratitudine.

Lui annuì con un sorriso gentile. "Sai ho avuto l'impressione ci tenesse che tu la leggessi. Non so cosa contenga, ma ho sempre pensato che potesse essere qualcosa d’importante per te."

Che strana persona era quel vecchio, ricordarsi ancora una volta di me e lasciarmi addirittura una lettera. L’aprii subito.

Era scritta con una calligrafia minuziosa, di altri tempi.

Caro ragazzo,

la delusione di quel giorno nel vedere il tuo sogno infrangersi mi ha rattristato profondamente. Sono stato testimone di come l'attesa alla quale avevi creduto e alla quale avevi legato un pezzo di te stesso, si sia dissolta in un attimo davanti ai tuoi occhi. Ma voglio che tu sappia una cosa importante: i sogni infranti fanno parte della vita, e sono proprio loro che ci aiutano a crescere, imparare e a scoprire chi siamo veramente. In ogni caso non smettere mai di desiderarli, non perdere la speranza e quando si infrangono…beh, raccogli i pezzi e trova sempre la forza per continuare.

E sarà questa forza che alla fine ti farà dire -Quant’è stato bello sognare-”.

Strinsi il foglio tra le dita e con il dorso della mano mi toccai il naso. Avevo le lacrime agli occhi e non volevo che Carletto se ne accorgesse.

Misi il foglio in tasca e in tutta fretta lo salutai con la scusa che a casa mi stavano aspettando.

Ripresi la strada riflettendo sul significato di quelle parole, pensando ancora una volta a quel nonnino, al suo viso e al suo immancabile gattone, e per un attimo mi sembrò di udire ancora una volta la sua voce mentre diceva:

 

Sogni, qui vendiamo sogni…

 

 

Vorrei dedicare questo racconto a tutti coloro che nella vita 

hanno visto il “loro barattolo” andare in mille pezzi.

 

 

 Moreno Blasi

 

 

 

16 commenti:

  1. Caro mio sei un artista, mi hai tenuto con la curiosità di arrivare alla fine del racconto e mi è capitato solo leggendo grandi artisti, quindi comunque, grazie, se continuerai a scrivere per me sarà un piacere,💪👍

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    1. grazie... mi ha fatto molto piacere leggere queste parole mio "anonimo" amico

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  2. una bella storia, scritta molto bene e che sa coinvolgere e vivere insieme a chi l'ha scritta la trama e il significato. mi è piaciuta molto e dovrebbe essere pubblicata anche in un libro per ragazzi, la trovo molto educativa, grazie Moreno

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  3. Un racconto che ha la capacità di catturarti, ti coinvolge e anche se cominci la lettura con la sola curiosità di valutarne l’interesse finisci per voler continuare perchè ti senti parte della storia, anzi ti consideri il protagonista.

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  4. Caro Moreno, rivedo in questo breve racconto il Moreno conosciuto ormai più di quaranta anni fa'. Un bel racconto piacevole e elegante non smettere di coltivare questo sogno così che anche noi possiamo godere della tua passione.

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  5. Bello bello ...per un attimo mi sembrava di stare in torre a latina a sentirti raccontare storie

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  6. Il racconto è un genere letterario tra i più difficili da produrre. Meno difficile stendere un corposo romanzo dove è più facile caratterizzare personaggi con grande dovizia di particolari, descrivere con estrema accuratezza particolari anche apparentemente poco significanti, divagare a lungo sui pensieri e sulle azioni dei vari protagonisti…ma il discorso sarebbe lungo e, soprattutto, io non sono Harold Bloom.
    Il tuo scritto coinvolge. Con poche pennellate descrivi l’ambiente, le persone e, in poche battute, trasformi un infausto incidente in una futura ipotesi di gioia (“i sogni non hanno scadenza”).
    Tanti anni fa incontrai il prof. Aldo Masullo, filosofo straordinario. Si parlava di Utopia. Gli feci notare che molte Utopie sono irrealizzabili. Mi rispose che le Utopie non si devono realizzare. Sollevò il braccio destro verso il cielo, con il palmo della mano aperto, e mi disse: “L’Utopia che uno si sceglie deve essere una sorta di faro verso cui si deve tendere per tutta, se non la si dovesse mai raggiungere intanto si migliora sé stessi lottando per qualcosa per cui vale veramente la pena vivere”.
    Mi accorgo che sto divagando. Aspetto altri tuoi scritti. Chissà, prima o poi potresti aggregarli in un libello. Un abbraccio.

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  7. ...peccato sia durato poco

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  8. Appassionante con la sua progressione ti trasporta in un angolo a riflettere sulla vita e tutte le sue sfaccettature dove spesso si trascura quell'innocenza che traspare nel bambino del primo capitolo, che fortunatamente continua a sognare per tutta la vita. Il responso del vecchio è fantastico e apre il mondo alla grande gioia di vivere. Bravo Moreno

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    1. grazie Claudio...mi ha fatto piacere leggere queste parole...che altro dire: hai centrato in pieno....

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  9. Caro Moreno saremo in tanti a ringraziarti per questa Dedica, ne sono certa. Mi ha commosso, bellissimo racconto, grazie di averlo condiviso🩵
    Manuela

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  10. Semplicemente emozionante, complimenti davvero. Farà breccia nel cuore dei bimbi a cui sarà proposto ma anche in quello dei loro genitori

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    1. grazie, veramente sei molto gentile. Immagino tu sia un insegnante (o un'insegnante)...mi piacerebbe sapere il tuo nome per ringraziarti

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  11. Caro Moreno, cercare e realizzare il proprio sogno è il fine e al contempo l’inizio di ogni vita che si possa dire di essere stata vissuta davvero ...
    Talvolta è più semplice inseguirlo per tutta la vita perché raggiungerlo e vedere il vaso andare in frantumi fa paura ...
    Io sono una sognatrice di sogni
    Grazie per questa piacevole lettura che mi ha permesso di fermarmi un po’ a riflettere su quale sarà il mio prossimo sogno da sognare
    Con affetto e stima

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  12. Letto tutto d’un fiato subito dopo avermelo presentato. Racconto molto molto piacevole…..fa riflettere sul trascorrere della vita, sui treni persi su quelli mai arrivati e su quelli arrivati ma volontariamente lasciati andare con la certezza che ne arriveranno degli altri.
    Grazie Cristina

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  13. Chi sogna ha sempre ragione. Il tuo racconto, penso, rappresenti una parte di ognuno di noi.Sono entrato in quel negozio con te ed invisibile, osservavo il gatto, il vecchietto e i vasi.Respiravo la polvere. I sogni stanno alla realtà come la copertina sta ad un quaderno da scrivere. Scrivi ancora.

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