mercoledì 18 ottobre 2017

George Orwell e 1984




Nel 1948 George Orwell scrisse il suo romanzo più famoso: 1984
1984 nella sua forma romanzata appartiene a pieno diritto al genere distopico (narrazioni fantapolitiche e antitotalitarie dove vengono raffigurate rappresentazioni di società future portate ad estremi negativi).
Seguendo questa linea, Orwell ci proietta in un futuro parossistico, in una estremizzazione in negativo della civiltà dove nell’indifferenza generale si assiste al decadimento della democrazia.
Spesso 1984, a torto, è stato considerato (al pari di altri romanzi di genere come Brave new world di Aldous Huxley, o The iron heel di Jack London) un libro di fantascienza.
In realtà il libro è la denuncia di chi come Orwell aveva combattuto i regimi totalitari (lo scrittore prese parte alla guerra civile spagnola nelle file del Partito Operaio di Unificazione Marxista, contro il dittatore Francisco Franco); un urlo del pensiero critico contro un “politichese” fatto d’indifferenza che, oggi come allora, si sta impadronendo dei mezzi di comunicazione. 
Ma perché George Orwell scrisse 1984?
L’idea del libro gli venne nel 1943, in pieno conflitto mondiale.
In una lettera datata 1944, Orwell aveva già bene in mente i temi che cinque anni più tardi avrebbe trascritto con la pubblicazione di 1984.
Nel 1948 il conflitto mondiale era da poco terminato; l’umanità si ritrovava distrutta in un mondo dove la guerra aveva frantumato ogni speranza di progresso.
La guerra aveva segnato un taglio netto con il passato. Aveva dimostrato come pochi al mondo avevano potuto gestire la “cosa pubblica” distruggendo ogni tipo di organizzazione democratica, in una società formata da caste. Tutto ciò aveva portato con sé gli orrori del nazionalismo più emotivo e la tendenza a non credere più all'esistenza di una verità oggettiva, perché tutti i fatti erano in sintonia con le parole o le profezie di un "fuhrer" infallibile. L’uomo, da membro di una società, si era ritrovato ad essere un ingranaggio all’interno di una “macchina della morte” mossa dagli interessi di partiti senza volto.
Tutti i movimenti nazionalistici del mondo, anche quelli che nascevano dalla resistenza, avevano assunto forme non democratiche, raggruppandosi attorno ad una figura superomistica e nascondendosi dietro la teoria che il fine giustifica i mezzi. 
Orwell riversò tutte queste ansie all'interno del romanzo.
Il libro si svolge in una società immaginaria, altamente indesiderata e spaventosa nella quale la tendenza sociale, politica e tecnologica viene portata ad estremi negativi.
La Terra è divisa in tre potenze guidate da regimi totalitari: Eurasia, Estasia e Oceania, in continua guerra tra loro.
I cittadini sono sottoposti ad un costante controllo sulle azioni e sui pensieri: dovunque sono disseminate telecamere e microfoni finalizzati a individuare ogni minima forma di dissenso nelle espressioni o nelle parole (si parla la Neolingua, un mezzo espressivo che sostituisce la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, rendendo impossibile ogni altra forma di pensiero), mentre manifesti e schermi mostrano l’immagine baffuta del “Big Brother”, 
il volto del partito, i cui occhi sembrano seguire ognuno con il monito «BIG BROTHER IS WATCHING YOU».
In questo contesto si sviluppa la vicenda di Winston Smith, un impiegato del ministero della Verità che vive con malessere la sua condizione all’interno del regime. I suoi incessanti sentimenti e il suo desiderio di libertà prendono forma nello stendere giornalmente un diario. In Julia, una ragazza che condivide i suoi stessi sogni, riversa l’amore, sentimento inviso al regime. La volontà di godere della libertà di vivere e amare, li spinge ad unirsi ad un gruppo segreto di dissidenti, il cui capo si rivelerà essere una spia del governo. Sottoposti a torture fisiche e mentali, i due si tradiranno a vicenda. Il lavaggio del cervello è stato compiuto, non rimane che l'amore e l'ammirazione per il Grande Fratello.       
In 1984, come in quasi tutte le opere utopiche e distopiche, le immagini si proiettano in un futuro cupo dove la cultura, soprattutto nella forma letteraria e poetica, è annullata dal Potere assoluto. Questo perché l’arte è ritenuta un’espressione del pensiero, della fantasia, della conoscenza di ciò che avviene; troppo pericolosa per essere lasciata incontrollata. Per questo sono proprio le pagine di 1984 ad offrire un messaggio di speranza: la letteratura e la cultura sono l'unica utopia possibile e sarà solo scrivendo, leggendo e pensando che 1984 non si avvererà mai.        
Moreno BLASI

lunedì 16 ottobre 2017

Music Capsule Andy Warhol e l'arte delle "covers"

Parte 3^

                                         
La figura di Andy Warhol non si avvicina alla musica solo
attraverso Lou Reed e i Velvet Underground.
Esiste un aspetto del suo percorso artistico, tutt’altro che marginale, che lo avvicina  alla musica sin dai suoi esordi giovanili: la copertina del disco.
La storia iconografica delle covers si intreccia con la storia stessa dell’arte di Warhol, segue le sue evoluzioni, registra e talvolta precorre i diversi passaggi estetici, diventando insieme specchio della modificazione della società e del costume del secondo Novecento.
D’altronde la stretta relazione tra la musica e l’arte è tratto caratteristico della lettura critica del secolo passato.
La storia della musica è fatta anche da immagini che nel tempo condizionano l'avvalere dello stesso prodotto musicale. In particolare il Jazz e il Rock, sono una continua fonte di ispirazione per il lavoro artistico.
Le immagini di Warhol non sono solo lavori grafici, ma si candidano ad un ruolo superiore di icone globali della nostra stessa storia.
Complessivamente produrrà oltre 60 opere.
La prima copertina è del 1949,  “A Program of Mexican music” un disco di musica classica di Carlos Chávez.
Warhol  ha appena 21 anni e prende ispirazione direttamente da un’illustrazione del programma del concerto live, dove il disco viene registrato.
Raffigura tre gruppi di musicisti aztechi incorniciati da un totem, una chiara evocazione dell’ambiente e della cultura che  genera questa musica.
Già da questo suo primo lavoro è visibile la tecnica della “blotted line”, segno grafico vibrante che l’artista userà in molti altri lavori. Seguiranno altre opere, dapprima di musica classica per poi confluire nel jazz, disegnando tra l’altro covers per Thelonious Monk, Count Basie e Artie Shaw.
Con la british invasion scopre il rock, e subito percepisce che questo nuovo genere musicale aderisce perfettamente a quello che è lo spirito della sua grafica.
In Help dei Beatles, sebbene Warhol non abbia né curato il concept né preso parte alla realizzazione di questa copertina, è giusto attribuirgliene il merito per la presenza dei fotogrammi che la compongono.
Le sessioni fotografiche da cui vengono estratti i fotogrammi della copertina, sono estrapolati da alcune pellicole della serie warholianaScreen Tests”.  
Nel 1967 avviene l'evento che per molti appassionati di musica rappresenta la svolta nella grafica musicale: la pubblicazione di “THE VELVET UNDERGROUND & NICO”, dove Warhol si spinge ad una partecipazione ben al di là di una semplice rappresentazione iconografica.
La copertina di “The Velvet Underground & Nico” è un'innovazione non solo per l’uso degli stilemi classici della pop-art (che fino ad quel momento in questo campo si erano visti raramente), ma anche per una straordinaria invenzione: la possibilità di rimuovere la banana-adesivo per rivelare l’immagine sottostante, fortemente evocativa e provocatoria.
La fotografia sul retro (un uomo che fa la verticale) compare solo nella prima tiratura del disco per essere poi, per motivi legali, prima coperta con un adesivo e successivamente rimossa.
La sfida continua con un'altra band che in materia di provocazione ha già di per se molto da dire: i Rolling Stones.
La cover del loro disco “Sticky Fingers” ,dita sporche (nel senso di maliziose), nella sua versione originale, presenta un complesso lavoro di progettazione da parte di Warhol.
Sulla parte frontale è inserita  una vera zip funzionante cucita sulla fotografia dei Jeans.
Sul retro del disco vi è invece la foto del lato posteriore dei pantaloni.
All’interno, per proteggere il disco dalla zip, compare un foglio di cartone che ritrae il medesimo bacino con le mutande.
Negli anni ’70, come in un reflusso, si abbandona a disegnare copertine affidandosi al tipico stile ritrattistico della pop-art, caratterizzando foto rielaborate con colori accesi ed irreali.
E’ il caso di “Love you Live” sempre dei Rolling Stones. Nella realizzazione di questa cover, Warhol parte da una serie di scatti fotografici nei quali i musicisti si mordono tra loro.
In copertina compare un disegno ispirato ad uno di questi scatti, mentre all’interno c’è un collage di tutte le foto sulle quali Warhol è intervenuto marcandone i contorni a mano.
Nel 1982 è la volta di “Emotion in motion” di Billy Squier  un musicista di Boston, alla ricerca di collaborazioni a vario titolo.
Su questa copertina, alla solita tecnica basata sulla fotografia, Warhol aggiunge l’utilizzo originale di forme geometriche di vari colori, che rendono diversa la copertina dal retro nonostante siano basate sulla stessa immagine.
Questa tecnica l'utilizza in quegli anni per molte delle sue opere pittoriche.
Nel 1983 Warhol viene incaricato di disegnare la copertina di Soul Vacation del gruppo pop giapponese Rats &Star.
L’immagine mostra i quattro membri della band fotografati dallo stesso Warhol, incorporati da blocchi di colore di forma irregolare, che sebbene serigrafati, appaiono come frammenti di un collage di carta colorata. 
Ci sono anche elementi disegnati a mano che contribuiscono nel creare un’immagine audace e vibrante.
La sua ultima cover è per un evento organizzato da MTV dedicato alla prevenzione del cancro al seno.
Warhol volle dare il proprio contributo alla compilation  raffigurando il volto stilizzato di una donna, in omaggio alla grande partecipazione femminile al mondo della musica.
A far da contorno le sue tipiche forme geometriche dipinte con lo stesso colore del logo del canale musicale.
Postumo (a tre anni della scomparsa) Lou Reed e John Cale, due ex Velvet Underground, registrano un album commemorativo.
In copertina la foto dei due autori (scattata da Warhol) con in controluce l'immagine dell’artista defunto. L'album viene chiamato Drella” come il  soprannome (incrocio tra Dracula e Cinderella) con cui i due musicisti descrivevano i lati opposti del carattere di Warhol.
Andy Warhol, fosse ancora insieme a noi, oggi avrebbe avuto quasi 90 anni.
Cosa è rimasto della sua arte, della sua cultura, del suo modo visionario di gestire il mondo?
Indubbiamente molti figli minori, qualcuno purtroppo non più presente, come Basquiat e Keith Haring. Ma soprattutto è ancora vivo il suo senso di interpretare l’arte, come se fosse l’aria che si cerca disperatamente quando si  soffoca. In un intervista disse: "Cerco di creare immagini che siano universali “leggibili” e esplicative". Un artista è un portavoce della società in qualsiasi punto si trovi nella storia. Il suo linguaggio è determinato dalla percezione del mondo in cui tutti viviamo.
È il tramite tra “ciò che potrebbe essere” ed il ciò che è. Se un’artista è veramente onesto nei confronti di se stesso e della propria cultura lascia parlare la cultura attraverso sé, imponendo il meno possibile il proprio ego. Ci rimane la semplicità ossessiva e ripetitistica, che il mondo della pubblicità conosce benissimo, arrivando persino ad allontanare il prodotto dalla sua immagine commerciale. Oppure il modo in cui realizzava una serigrafia, dove l’unica decisione era la scelta dell’immagine da riprodurre; la tecnica poi gli consentiva di intervenire in modo seriale e meccanico sull’immagine fotografica di partenza. In un’altra intervista disse “la ragione per cui dipingo in questo modo è che voglio essere una macchina, e sento che quanto faccio una cosa  facendola come fossi una macchina, ottengo il risultato che voglio”. Warhol per la sua arte si pose sempre in veste di “osservatore silenzioso”, rispetto a una riserva di immagini che trova già pronta per l’uso nella realtà che lo circonda. E' vero anche che ogni sua tela è diversa, unica, in quanto nella riproduzione serigrafica non ripuliva il telaio e nel riempimento dei colori, lasciava il telaio mai allineato creando sempre una immagine sfalsata tra contorno e sfondo; si trovano molte caratteristiche che portano a considerare una tela di Warhol unica anche se l’esecuzione è  “industriale”. La sua impronta è presente ancora in tutte le immagini consumistiche, in tutti i loghi commerciali, nella dissacrazione iconografica che puntualmente si ripresenta ad ogni generazione. Al giorno d’oggi i suoi “15 minuti di popolarità” sono alla portata di tutti, in ogni smartphone dove è possibile istallare l'applicazione che da una qualsiasi fotografia  ricrea  un ritratto enfatizzandone i contorni ed i colori come se si trattasse di un fumetto, quasi fosse un messaggio ossessivo ed alienante della propria identità.


 
fine

 Moreno BLASI



Music Capsule Andy Warhol e i Velvet Undergroung



Parte 2^
La Factory è un grande loft situato al quarto piano di uno di quegli immensi condomini che danno sulla 47th Strada Est. Funziona come una combinazione di club house, centro sociale, lounge e area di lancio per alcuni dei tipi più stravaganti di New York. E’ dove pavoneggiano modelle, teste farneticanti da anfetamina, poeti, bizzosi registi underground, occasionalmente anche alcune personalità del cinema e soprattutto rockstar. 
La celebrità  di Warhol schizza alle stelle, diventando per lui una vera dipendenza. Investe molta energia pur di rimanere argomento di discussione. 
La sua arte diventa sempre più una intenzionale provocazione, calcolata nel minimo dettaglio pur di creare polemica e suscitare curiosità sulla stampa, mentre l’instancabile desiderio di generare onde d'urto, spesso lo porta al puro sensazionalismo.

Lì in mezzo, nel 1965 arriva Lou Reed con cui inizia una collaborazione artistica che porta il nome di Warhol all’interno del mondo musicale .
Lou Reed è un uomo fascinoso, un musicista inimitabile.
Un giorno trova un libro giallo nella spazzatura: il titolo Velvet Underground  lo imprigiona  e lo ispira ad utilizzare quel nome per  una band che ha formato insieme a quattro amici reclutati nel mondo sotterraneo e provenienti dalle più disparate esperienze, come John Cale, un violoncellista gallese.
Warhol incontra i Velvet Underground quando ha già trentasei anni vissuti intensamente, dalla forza trainante di un successo seguito da un culto devoto di collaboratori artistici. 
Reed di anni ne ha ventitré, forte come l'acciaio inossidabile, sicuro di sé, e ambizioso come il suo mentore. 
In WarholReed ha trovato un padre-madre-protector-catalizzatore-collaboratore che aveva sempre desiderato. 
A sua volta, Warhol ha visto in Reed un suo alter-ego più giovane in cui ritrovare la vitalità. 
Sono entrambi persone isolate che avevano avuto esaurimenti nervosi mantenendo in se stessi i loro pensieri più intimi, ma ognuno poteva entrare in empatia con l'altro attraverso una vulnerabilità mascherata. 
Andy Warhol convince i Velvet ad inserire tra le loro file Nico, un’attrice e modella tedesca, già Musa degli esistenzialisti europei.
Reputa che Nico con la sua immagine possa fare da front line al gruppo.
Idea che Reed e Cale trovano molto ripugnante.
Ma la richiesta di Warhol porta nuovi strumenti, sala prove gratuita, cibo, bevande, droghe, choc istantanei, tutto questo in cambio di lasciar Nico fare un paio di numeri insieme a loro. 
Alle prime prove la band ha un momento difficile. 
Nascono incomprensioni su chi avrebbe dovuto essere in primo piano: il suono o la voce. Nico dichiara che Reed la fa diventare paranoica, ma d’altronde paranoia è la parola chiave della Factory.
Warhol riesce a convincere Reed a scrivere alcuni brani che Nico possa interpretare con la band. 
«I` ll be your mirror » e « Femme Fatale » sono alcuni di questi brani che saranno inseriti nel loro album di debutto.
L’importanza di Nico nei primi Velvet non deve essere sottovalutata. 
La sua voce così notturna e la bellezza gelida aggiungono allo show una dimensione extra. 
Cale stesso rimane colpito dal suo canto, producendo in seguito un paio dei suoi album da solista.
Con loro crea un suono travolgente, immagini sonore  non definibili dalla terminologia usuale.
Warhol li inserisce nel suo Exploding Plastic Inevitable, una sorta di performance teatrale totale, in cui cerca di coinvolgere al massimo gli spettatori.
L‘Exploding Plastic Inevitable è una presentazione multimediale, dove i Velvet accompagnano un film di 70 minuti in bianco e nero dal titolo The Velvet Underground and NicoA Symphony of Sound. 
L'idea si è evolve rapidamente in qualcosa di più ambizioso, andando ad utilizzare ballerini, luci, luci stroboscopiche e diapositive, in una performance multi-mediale.
All’epoca lo show rappresenta un avvenimento atipico e sensazionale: gli attori di Warhol si aggirano sinistri tra il pubblico, le luci offrono dei chiaroscuri allucinanti e i
Velvet Underground suonano tutta la loro musica scordata, dilaniante, ma perfettamente in sintonia con i nuovi umori che aleggiano per New York.
Warhol centra ancora volta il segno.
Tutta l’ intellighenzia newyorkese parla dell’avvenimento.
Warhol dirà in seguito: “Sapevamo tutti che stava accadendo qualcosa di rivoluzionario”. 
Lo percepivamo. Le cose non potevano proseguire senza che qualche ostacolo venisse infranto”.
The Velvet Underground and Nico è un album che la band non avrebbe mai pensato di registrare. 
Andy Warhol prende la decisione di registrare l'album prima di venderlo ad una etichetta discografica, senza un preventivo contratto. 
Il vantaggio è evidente: nessuno può interferire con la produzione. 
Ma anche lo svantaggio è chiaro: la totale mancanza di fondi. 
Il risultato riflette sia nel senso di libertà della realizzazione che nelle limitazioni economiche. 
Viene registrato in uno studio a basso costo, con solo quattro microfoni disponibili. 
Velvet lavorano agli arrangiamenti immediatamente prima delle sessioni di registrazione, in maniera di trasferire il sound su vinile il prima possibile. 
La qualità del risultato la dice lunga circa la loro determinazione e sul breve tempo trascorso in studio.
Nel corso degli anni ci sono state un sacco di speculazioni circa il ruolo che Warhol  ha nella realizzazione di questo storico album. 
Ha editato l'artwork , che rimane una delle più famose copertine di tutti i tempi: una banana che si stacca dalla copertina mostrando al suo interno una banana rosa.
Nell'album viene accreditato come produttore, anche se in un senso convenzionale del termine non c'è stato alcun produttore. Warhol è stato più che altro l’ispiratore. 
Tuttavia, il suo ruolo è stato essenziale. 
Lou Reed anni dopo dichiarerà:
Andy è stato il produttore e Andy stava seduto dietro al banco di missaggio rapito da tutto quel turbinio di luci lampeggianti. 
Lui ha reso possibile che noi fossimo noi stessi, profondendoci fiducia con la sua sola presenza.” 
In un certo senso lui ha realmente prodotto l’album, proteggendoci da tutte le situazioni negative che sarebbero potute arrivare. Potevamo fare tutto ciò che volevamo e lui ce lo avrebbe permesso. 
Rappresentava un’istituzione e nessuno lo avrebbe fermato, perché lui era Andy Warhol. Certo che ne sapeva poco di produzione discografica ...
Se ne stava seduto lì e si limitava a dire,”Oooh è` fantastico”, e il tecnico del suono a ripetergli, “Oh yeah! Giusto! Non è fantastico?”. 
L'album è ormai prossimo alla pubblicazione e dopo il grande successo di New York, i Velvet vengono invitati a suonare in California
Tutti i tredici membri dello spettacolo fanno le valigie e prendono l'aereo traboccanti di entusiasmo, sicuri che gli dei del rock sono dalla loro parte e che anche sulla costa occidentale avrebbero trovato un ambiente abbastanza stravagante da abbracciare il loro insolito sound. 
Cosa potrebbe esserci di meglio della California, di Hollywood per Andy Warhol e Nico, per canzoni che parlano di sesso, droga e paranoia?
Invece si sbagliano.  I Velvet al di fuori di New York non hanno una buona reputazione: sono visti come una band da anfetamina
I figli dei fiori di San Francisco vedono nei Velvet il male urbano e corrotto di New York che avrebbe contaminato l’innocenza e la bellezza nella musica californiana.
Il tour termina dopo appena la prima esibizione.
Rimangono a Los Angeles tre settimane, pretendendo il rispetto del contratto. 
Lou Reed inizia a discutere sui pagamenti e Warhol non è quel gran manager che tutti si aspettano. 
Dopo l’uscita del disco tutti  vedono in lui un oculato affarista, e ciò da fastidio a Lou Reed che non vedendosi coinvolto, inizia a prenderne le distanze.
Suonano in altre esibizioni al Fillmore di San Francisco, ma non riscuotono il successo sperato.
Quando tornano a New YorkLou è colpito da un grave caso di epatite. 
Passa sei settimane in ospedale a curarsi. 
Velvet nel frattempo senza di lui partecipano ad alcuni concerti a Chicago che riscuotono un grande successo.
Reed diventa paranoico perché sente che sta perdendo il controllo della band. 
E’ molto frustrato al pensiero che lui non sia più la stella della band, dal momento che Andy Warhol e Nico ne hanno assunto tutti i crediti. 
Smette di scrivere canzoni per Nico, e quando sente che Warhol la incoraggia ad una carriera solista, dichiara che la società tra lui, NicoAndy Warhol e i Velvet Underground è finita.
E finisce un' amicizia per volontà degli dei di tutti i mondi e di tutti i Paesi.

continua...

Moreno BLASI




Music Capsule Andy Warhol e la musica

   
Parte 1^
 
 
La storia di Andy Warhol è molto complicata e difficile. 
Andrew Warhola, questo il suo vero nome, nasce
a Pittsburgh, in Pennsylvania nel 1928, da genitori
cecoslovacchi immigrati. Durante la sua infanzia
sperimenta la povertà e la solitudine.
Dopo l’Istituto d’Arte, si trasferisce a New York, raggiunto solo dopo qualche anno dalla madre che, rimasta vedova, diverrà una sua preziosa collaboratrice.
E ci riesce.
Warhol di giorno va a caccia di lavori presso le riviste di moda che iniziano a diffondersi largamente e di notte a sviluppare le sue idee.
Sono gli anni Cinquanta del Novecento: si sta costruendo il mito americano del benessere, del consumismo, della celebrità favorita dal cinema e dalla diffusione della televisione.
Nasce subito in lui il sogno di trasformare in immagini la realtà popolare d'America.
Warhol diventa un disegnatore richiesto e ben pagato; disegna scenografie teatrali e illustra libri di importanti scrittori e poeti.
Nel 1957 fonda la Andy Warhol Enterprises, un’azienda per la commercializzazione delle sue opere, basate sulla ripetizione delle immagini, già ampiamente diffuse dai mass-media, che riproducono oggetti di consumo industriale.
La tecnica usata da Warhol è quella del riporto fotografico, con violenti colori, che dissacrano il concetto di unicità dell’opera d’arte, creando un procedimento artistico meccanico.
La provenienza dal mondo della pubblicità è fondamentale per la sua arte.
I soggetti a cui Warhol si interessa sono i prodotti del consumismo industriale, pubblicizzati e diffusi dai mass media anche ai livelli più popolari.
Egli stesso definisce i suoi “prodotti” Pop, cioè popular.
Le immagini a lui care sono i barattoli di minestre Campbell’s, le scatole di Kellog’s, le bottiglie di Coca-Cola, le foto dei divi di Hollywood, le immagini di cronaca (incidenti d’auto e suicidi) e quelle dei “miti americani” come Topolino, Superman, il dollaro.
Viene molto discusso e criticato per la sua eccentricità e per l’immagine trionfale del consumismo americano che diffonde, proprio negli anni in cui si cerca di lottare contro di esso.
“Se volete sapere tutto su Andy Warhol -dice- basta guardare alla superficie dei miei dipinti e di me stesso: io sono lì.
Non c’è altro dietro. Ciò che è grande, rispetto a questo paese, è che l’America ha incominciato la tradizione in cui il consumatore più ricco compera essenzialmente le stesse cose del più povero.
Puoi vedere la Coca-Cola in TV e puoi sapere che il Presidente beve Coca, Liz Taylor beve Coca, e tu pensi proprio che anche tu puoi bere Coca…Tutte le Coke sono uguali e tutte le Coke sono buone. Liz Taylor lo sa, il Presidente lo sa, e tu lo sai”.
L’intento di Warhol è quello di non voler creare oggetti unici, come le opere d’arte tradizionali.
Secondo lui le immagini sono prodotti in cui non si deve riconoscere la mano dell’artista.
Con un procedimento misto di fotografia, serigrafia e pittura, dalla Factory escono opere create a più mani, la cui caratteristica più evidente è la ripetività: lo stesso oggetto ripetuto con infinite varianti di colore.
Un esempio sono le famose Marilyn Monroe e i Fiori, che fanno parte quasi di una catena ripetitiva, che apparentemente appiattisce tutto, ma che, in realtà, lascia immagini di grande forza espressiva.
 I primi anni Sessanta sono fondamentali per la sua produzione artistica, centrata sulla società massificante, di cui egli stesso si propone come integrato  consumatore, fino a diventarne un’autentica star. Negli anni successivi decide di abbracciare un progetto più vasto, proponendosi come imprenditore dell'avanguardia creativa di massa. Per questo fonda una sorta di officina di lavoro collettivo che lui chiama "Factory".
 
 
continua....
 
Moreno BLASI