Parte 1^
La storia
di Andy Warhol è molto complicata e difficile.
Andrew
Warhola, questo il suo vero nome, nasce
a Pittsburgh,
in Pennsylvania nel 1928, da genitori
cecoslovacchi
immigrati. Durante la sua infanzia
sperimenta la
povertà e la solitudine.
Dopo
l’Istituto d’Arte, si trasferisce a New York, raggiunto solo dopo qualche anno
dalla madre che, rimasta vedova, diverrà una sua preziosa collaboratrice.
E ci
riesce.
Warhol di
giorno va a caccia di lavori presso le riviste di moda che iniziano a
diffondersi largamente e di notte a sviluppare le sue idee.
Sono gli
anni Cinquanta del Novecento: si sta costruendo il mito americano del
benessere, del consumismo, della celebrità favorita dal cinema e dalla
diffusione della televisione.
Nasce
subito in lui il sogno di trasformare in immagini la realtà popolare d'America.
Warhol
diventa un disegnatore richiesto e ben pagato; disegna scenografie teatrali e
illustra libri di importanti scrittori e poeti.
Nel 1957 fonda la Andy Warhol Enterprises, un’azienda per la
commercializzazione delle sue opere, basate sulla ripetizione delle immagini,
già ampiamente diffuse dai mass-media, che riproducono oggetti di consumo
industriale.
La tecnica
usata da Warhol è quella del riporto fotografico, con violenti colori, che
dissacrano il concetto di unicità dell’opera d’arte, creando un procedimento
artistico meccanico.
La
provenienza dal mondo della pubblicità è fondamentale per la sua arte.
I soggetti
a cui Warhol si interessa sono i prodotti del consumismo industriale,
pubblicizzati e diffusi dai mass media anche ai livelli più popolari.
Egli stesso
definisce i suoi “prodotti” Pop, cioè popular.
Le immagini
a lui care sono i barattoli di minestre Campbell’s, le scatole di Kellog’s, le
bottiglie di Coca-Cola, le foto dei divi di Hollywood, le immagini di cronaca
(incidenti d’auto e suicidi) e quelle dei “miti americani” come Topolino, Superman,
il dollaro.
Viene molto
discusso e criticato per la sua eccentricità e per l’immagine trionfale del
consumismo americano che diffonde, proprio negli anni in cui si cerca di
lottare contro di esso.
“Se volete
sapere tutto su Andy Warhol -dice- basta guardare alla superficie dei miei
dipinti e di me stesso: io sono lì.
Non c’è
altro dietro. Ciò che è grande, rispetto a questo paese, è che l’America ha
incominciato la tradizione in cui il consumatore più ricco compera
essenzialmente le stesse cose del più povero.
Puoi vedere
la Coca-Cola in TV e puoi sapere che il Presidente beve Coca, Liz Taylor
beve Coca, e tu pensi proprio che anche tu puoi bere Coca…Tutte
le Coke sono uguali e tutte le Coke sono buone. Liz Taylor lo sa, il Presidente
lo sa, e tu lo sai”.
L’intento
di Warhol è quello di non voler creare oggetti unici, come le opere d’arte
tradizionali.
Secondo lui
le immagini sono prodotti in cui non si deve riconoscere la mano dell’artista.
Con un
procedimento misto di fotografia, serigrafia e pittura, dalla Factory escono
opere create a più mani, la cui caratteristica più evidente è la ripetività: lo
stesso oggetto ripetuto con infinite varianti di colore.
Un esempio
sono le famose Marilyn Monroe e i Fiori, che fanno parte quasi di una catena
ripetitiva, che apparentemente appiattisce tutto, ma che, in realtà, lascia
immagini di grande forza espressiva.
I
primi anni Sessanta sono fondamentali per la sua produzione artistica, centrata
sulla società massificante, di cui egli stesso si propone come integrato
consumatore, fino a diventarne un’autentica star. Negli anni successivi decide
di abbracciare un progetto più vasto, proponendosi come imprenditore
dell'avanguardia creativa di massa. Per questo fonda una sorta di officina di
lavoro collettivo che lui chiama "Factory".
continua....
Moreno
BLASI
Nel 1957 fonda la Andy Warhol Enterprises, un’azienda per la commercializzazione delle sue opere, basate sulla ripetizione delle immagini, già ampiamente diffuse dai mass-media, che riproducono oggetti di consumo industriale.
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