lunedì 16 ottobre 2017

Music Capsule Andy Warhol e la musica

   
Parte 1^
 
 
La storia di Andy Warhol è molto complicata e difficile. 
Andrew Warhola, questo il suo vero nome, nasce
a Pittsburgh, in Pennsylvania nel 1928, da genitori
cecoslovacchi immigrati. Durante la sua infanzia
sperimenta la povertà e la solitudine.
Dopo l’Istituto d’Arte, si trasferisce a New York, raggiunto solo dopo qualche anno dalla madre che, rimasta vedova, diverrà una sua preziosa collaboratrice.
E ci riesce.
Warhol di giorno va a caccia di lavori presso le riviste di moda che iniziano a diffondersi largamente e di notte a sviluppare le sue idee.
Sono gli anni Cinquanta del Novecento: si sta costruendo il mito americano del benessere, del consumismo, della celebrità favorita dal cinema e dalla diffusione della televisione.
Nasce subito in lui il sogno di trasformare in immagini la realtà popolare d'America.
Warhol diventa un disegnatore richiesto e ben pagato; disegna scenografie teatrali e illustra libri di importanti scrittori e poeti.
Nel 1957 fonda la Andy Warhol Enterprises, un’azienda per la commercializzazione delle sue opere, basate sulla ripetizione delle immagini, già ampiamente diffuse dai mass-media, che riproducono oggetti di consumo industriale.
La tecnica usata da Warhol è quella del riporto fotografico, con violenti colori, che dissacrano il concetto di unicità dell’opera d’arte, creando un procedimento artistico meccanico.
La provenienza dal mondo della pubblicità è fondamentale per la sua arte.
I soggetti a cui Warhol si interessa sono i prodotti del consumismo industriale, pubblicizzati e diffusi dai mass media anche ai livelli più popolari.
Egli stesso definisce i suoi “prodotti” Pop, cioè popular.
Le immagini a lui care sono i barattoli di minestre Campbell’s, le scatole di Kellog’s, le bottiglie di Coca-Cola, le foto dei divi di Hollywood, le immagini di cronaca (incidenti d’auto e suicidi) e quelle dei “miti americani” come Topolino, Superman, il dollaro.
Viene molto discusso e criticato per la sua eccentricità e per l’immagine trionfale del consumismo americano che diffonde, proprio negli anni in cui si cerca di lottare contro di esso.
“Se volete sapere tutto su Andy Warhol -dice- basta guardare alla superficie dei miei dipinti e di me stesso: io sono lì.
Non c’è altro dietro. Ciò che è grande, rispetto a questo paese, è che l’America ha incominciato la tradizione in cui il consumatore più ricco compera essenzialmente le stesse cose del più povero.
Puoi vedere la Coca-Cola in TV e puoi sapere che il Presidente beve Coca, Liz Taylor beve Coca, e tu pensi proprio che anche tu puoi bere Coca…Tutte le Coke sono uguali e tutte le Coke sono buone. Liz Taylor lo sa, il Presidente lo sa, e tu lo sai”.
L’intento di Warhol è quello di non voler creare oggetti unici, come le opere d’arte tradizionali.
Secondo lui le immagini sono prodotti in cui non si deve riconoscere la mano dell’artista.
Con un procedimento misto di fotografia, serigrafia e pittura, dalla Factory escono opere create a più mani, la cui caratteristica più evidente è la ripetività: lo stesso oggetto ripetuto con infinite varianti di colore.
Un esempio sono le famose Marilyn Monroe e i Fiori, che fanno parte quasi di una catena ripetitiva, che apparentemente appiattisce tutto, ma che, in realtà, lascia immagini di grande forza espressiva.
 I primi anni Sessanta sono fondamentali per la sua produzione artistica, centrata sulla società massificante, di cui egli stesso si propone come integrato  consumatore, fino a diventarne un’autentica star. Negli anni successivi decide di abbracciare un progetto più vasto, proponendosi come imprenditore dell'avanguardia creativa di massa. Per questo fonda una sorta di officina di lavoro collettivo che lui chiama "Factory".
 
 
continua....
 
Moreno BLASI
 
 
 
 
 
 
 
 

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