1.
Il
negozio era delizioso, lo si notava anche dall’esterno.
2.
Lo trovai immediatamente, identico a come l’avevo lasciato.
Anche l’interno era rimasto allo stesso modo.
Appena entrato il nonnino mi riconobbe immediatamente:
“Oh, guarda chi si rivede….”
Come faceva a ricordarsi di me pensai, dopotutto mi aveva visto soltanto una volta e poi diversi anni fa.
“Allora ti è venuto in mente quale sogno ti piacerebbe avverare?”
“Veramente ancora no” risposi.
“Stai tranquillo, te l’ho già detto: hai tutto il tempo che vuoi”.
A sentire quelle parole, non so perché mi tornò il disagio di quel giorno, quando non me ne venne in mente nessuno.
“Ma perché è così difficile sceglierne uno?” Gli domandai.
Si avvicinò con un sorriso dolcissimo, dello stesso sapore della vaniglia che si respirava ancora nell’aria…
Mi rispose: “Figliolo mio, i sogni sono strani. Rappresentano ciò che noi non riusciamo a vedere. Sono eterei, fugaci ma anche amari e a volte irraggiungibili; sono come un viaggio che puoi iniziare in ogni istante per poi cambiare la destinazione in qualsiasi momento.
“Ma… come faccio a sapere che è lui il mio sogno?”
“Quando entri nel mio negozio vedrai sempre tanti barattoli sugli scaffali. Alcuni grandi, altri piccini. Alcuni sono in alto, irraggiungibili e altri invece più a portata di mano. Il tuo sogno starà lì ad aspettarti e quando ti avvicinerai lo riconoscerai immediatamente senza bisogno di alcun consiglio. Però… sappi che ognuno ha il suo prezzo da pagare”.
Quest’ultima frase mi lasciò sbalordito.
Sapevo che i sogni aiutano nella vita, ma perché pagarli se sono una cosa fondamentale e che in fin dei conti fanno star bene.
“Come? C’è anche un prezzo da pagare? Hai detto che sono eterei, com’è possibile pagare un qualcosa che è… impalpabile”.
“Non è sufficiente desiderare un sogno per ottenerlo: bisogna anche meritarselo. Se non ci fosse un prezzo, anche simbolico, ognuno avrebbe tutti i sogni che vuole… e forse anche di più. E allora non ci sarebbe più gusto. Troppi sogni possono far male, la misura dev’essere quella giusta. Devono essere fonte d’ispirazione ma anche un salutare legame con la realtà”.
“E quale sarebbe il giusto prezzo?”
A questa domanda allargò le braccia.
“Non chiedermelo. Non esiste un tariffario. Potrebbe sembrarti troppo, così come potrebbe sembrarti poco: il prezzo di ogni sogno dipende solo dal valore che gli dai”.
Non fece in tempo a finire di parlare che scomparve nuovamente dietro al bancone.
Riflettei sulle sue parole che in ogni caso mi incoraggiarono un po’.
“Non c’è che dire”, pensai “quel vecchio è un ottimo venditore”.
Iniziai a girare per il negozio nella speranza di capire quale sogno prima o poi avrebbe attirato la mia curiosità. Come mi aveva detto, alcuni sogni erano rinchiusi dentro barattoli enormi, altri in quelli più piccoli ma in tutti era impossibile scrutarne il contenuto.
In ogni caso nessuno attirava la mia attenzione.
Notai che il gattone grigio stava ancora là, sul bancone della cassa continuando a sventolare l’aria con la coda; forse sentendo il bisogno di stiracchiarsi un po’ si alzò e arcuò la schiena stendendo le zampine anteriori. Il suo spostamento permise a un filo di luce di attraversare la patina della vetrina e di andare a colpire un angolo dove una serie di barattoli si sottraeva alla vista. A dire il vero li avrei potuti vedere anche prima, ma forse non mi ero accorto di loro preso com’ero dalle parole del proprietario e soprattutto dai miei pensieri.
Mi accorsi di un barattolo più defilato degli altri, che colpito dal raggio di luce parve risplendere di uno strano bagliore o almeno così sembrò. Era chiuso con un drappo di stoffa sfilacciata e tenuto stretto al bordo con uno spago, come si faceva una volta.
Era particolarmente singolare: la poca luce che filtrava dalla vetrina creava al suo interno un chiarore misterioso che, a seconda di come lo tenessi tra le mani, cambiava continuamente sfumatura, rivelando arcobaleni dai colori straordinari.
Sentii un brivido di eccitazione attraversarmi il corpo.
Ecco, finalmente avevo trovato il mio sogno.
Corsi dal vecchio a chiedere quanto costasse.
Appena lo vide non rimase sorpreso, anzi sembrava sapesse che quel barattolo non stava aspettando altro che lo trovassi. Lo girò e lo rigirò, poi si voltò verso il gatto come se aspettasse da lui qualche risposta.
Sembrava in imbarazzo quando mi disse il prezzo: ”Un soldo”.
Cercai nelle mie tasche… avevo solo 99 centesimi.
Non potevo credere: proprio adesso che avevo trovato il mio sogno.
Così vicino eppure così irraggiungibile.
Chiesi al nonnino di avere pazienza e di tenerlo da parte perché sarei tornato quanto prima con tutta la somma, sicuro di riuscire a trovare in qualche modo la monetina che mi mancava.
Lui non batté ciglio, prese il barattolo e con lentezza lo andò a posare sul bancone vicino alla cassa, proprio dove al gattone grigio piaceva riposare.
Uscii senza sapere dove andare e come fare per recuperare quella moneta.
Il sole stava per calare e dovevo sbrigarmi. Pensai di andare verso la latteria dove venendo avevo incontrato il mio amico Carletto, che forse avrebbe in qualche modo potuto aiutarmi. Inforcai la bicicletta e andai da lui. I negozi stavano per chiudere e le strade erano affollate. Correvo evitando con cura le persone che camminavano intorno a me. Stavo quasi per arrivare quando un luccichio colpì i miei occhi: a qualche signora mentre faceva la spesa era caduta per terra una monetina, non curandosi poi di raccoglierla. Quel colpo di fortuna mi stava permettendo di racimolare l’intera somma. Mi affrettai a prenderla e immediatamente tornai al negozio.
Entrai che ero trafelato per la corsa ma anche per la felicità di riuscire finalmente ad avere il mio sogno.
Il vecchio mi stava aspettando vicino alla porta. Mi accolse con un sorriso e insieme andammo a prendere il barattolo.
Avevo appena finito di contare le monete quando proprio in quel momento il gattone, nella penombra degli scaffali, intravide un topolino entrato chissà come e di sicuro alla ricerca di qualcosa da rosicchiare. Senza pensarci, d’istinto balzò giù dal bancone verso la preda oramai in trappola. Mentre saltava, inaspettatamente andò a urtare con la coda il barattolo con dentro il mio sogno, facendolo rotolare a terra e mandandolo in frantumi.
Rimasi sconcertato, non sapevo né cosa dire e né cosa fare. Era il mio sogno ed era lì, ai miei piedi, oramai in mille pezzi.
Non sapevo cosa farmene di un altro barattolo e tantomeno dei soldi. Io volevo quello perché sapevo che lì dentro c’era il mio sogno; un altro non sarebbe stata la stessa cosa.
Sconfortato presi la bicicletta e me ne tornai a casa. Era ora di cena e a breve sarebbe stato buio.
3.
Passarono gli anni, divenni adulto e per lavoro dovetti trasferirmi in un’altra città. Raramente riuscivo a tornare nei luoghi dove ero cresciuto e dove avevo lasciato i miei affetti, anche se continuavano a rimanere sempre nei miei pensieri. Un giorno, finalmente, arrivò l'opportunità di poterci tornare per un paio di giorni e non mi lasciai sfuggire l'occasione. Avevo voglia di rivedere la mia famiglia, i vecchi amici e tutti quei luoghi dove avevo passato giorni lieti. Così dopo gli abbracci affettuosi e i sorrisi felici dei familiari, decisi di spendere un pomeriggio girando per le strade della città, che nel frattempo si era ingrandita.
La parte che un tempo era periferia adesso era stata
inglobata nel centro abitato. Devo ammettere che facevo una certa fatica a
riconoscere quei posti che avevano segnato la mia infanzia e la mia giovinezza, quando all’improvviso mi ritrovai innanzi a uno scorcio
che mi sembrò familiare: non potevo crederci, era il negozio del vecchio!
Ovviamente lui non c’era più e anche il
negozio aveva cambiato l’uso, in una veste completamente rimodernata.
Adesso vendeva biciclette: da corsa, da
passeggio, persino quelle per le scarpinate più faticose sui sentieri di
montagna.
Non potei fare a meno di entrare e con
sorpresa scoprii che adesso era del mio amico Carletto. La commozione fu tanta
nel rincontrarci. Eravamo adulti ma nel nostro cuore batteva ancora l’emozione
di una volta.
Entrando nel negozio mi tornò in mente
l’episodio di quel giorno, del sogno che per un attimo era stato mio e che per
poco non ho visto realizzare.
Chiesi a Carletto che fine avesse fatto
il vecchio proprietario. Mi rispose che era da molto tempo che non si vedeva più
in giro.
Sapeva solo che dopo avergli ceduto il
negozio aveva preso il suo gatto ed era andato via, chissà dove.
Si stava facendo tardi, così salutai
Carletto con un abbraccio.
Mentre andavo via, Carletto mi richiamò;
si era ricordato che il vecchio proprietario, sapendo che mi conosceva, andando
via gli aveva lasciato una lettera per me nel caso, prima o poi, mi avesse
rivisto.
Mi
voltai con una sorpresa evidente stampata sul volto e presi la busta che mi stava
porgendo. Non avevo idea di cosa potesse contenere quella lettera ed ero
curioso di scoprirlo.
"È
stata proprio una coincidenza fortunata che ti sia ricordato di questa
lettera", dissi a Carletto con gratitudine.
Lui
annuì con un sorriso gentile. "Sai ho avuto l'impressione ci tenesse
che tu la leggessi. Non so cosa contenga, ma ho sempre pensato che potesse
essere qualcosa d’importante per te."
Che strana persona era quel vecchio,
ricordarsi ancora una volta di me e lasciarmi addirittura una lettera. L’aprii
subito.
Era scritta con una calligrafia
minuziosa, di altri tempi.
“Caro
ragazzo,
la
delusione
di quel giorno nel vedere il tuo sogno infrangersi mi ha rattristato
profondamente. Sono stato testimone di come l'attesa alla quale avevi creduto e
alla quale avevi legato un pezzo di te stesso, si sia dissolta in un attimo davanti
ai tuoi occhi. Ma voglio che tu sappia una cosa importante: i sogni infranti
fanno parte della vita, e sono proprio loro che ci aiutano a crescere, imparare
e a scoprire chi siamo veramente. In ogni caso non smettere mai di desiderarli, non perdere la speranza
e quando si infrangono…beh, raccogli i pezzi e trova sempre la forza per continuare.
E
sarà questa forza che alla fine ti farà dire -Quant’è stato bello sognare-”.
Strinsi il foglio tra le dita e con il
dorso della mano mi toccai il naso. Avevo le lacrime agli occhi e non volevo
che Carletto se ne accorgesse.
Misi il foglio in tasca e in tutta
fretta lo salutai con la scusa che a casa mi stavano aspettando.
Ripresi la strada riflettendo sul significato di quelle parole, pensando ancora una volta a quel nonnino, al suo viso e al
suo immancabile gattone, e per un attimo mi sembrò di udire ancora una volta la
sua voce mentre diceva:
“ Sogni, qui vendiamo sogni…”
Vorrei dedicare questo racconto a tutti coloro che nella vita
hanno visto il “loro barattolo” andare in mille pezzi.
Moreno Blasi